
Tutti cerchiamo di fare la scelta giusta nella nostra vita, ma a volte qualcosa non funziona. Spesso perché ci siamo semplicemente sbagliati, altrettanto spesso perché non abbiamo avuto rispetto di noi stessi e delle nostre sensazioni.
Prima di leggere questo articolo provate a chiedervi quante volte usate i verbi dovere e volere durante la giornata.
Il giudizio estetico non è un giudizio sulla bellezza.
Secondo il filosofo Immanuel Kant il giudizio estetico è immediato, ovvero non è mediato dalla ragione. Ciò significa che quando vediamo qualcosa che ci piace o non ci piace, noi lo sentiamo già ancora prima di aver formulato il pensiero nella nostra mente.
Il giudizio estetico non ha bisogno della ragione per manifestarsi, perché noi lo percepiamo sotto forma di sensazione e solo in un secondo momento questa viene processata in un pensiero compiuto.
Comunemente, quando parliamo di giudizio estetico, pensiamo a qualcosa che abbia a che fare con i nostri gusti personali, all’arte magari, insomma a ciò che consideriamo bello, ma mai (o quasi) ci sfiora l’idea che esso potrebbe avere a che fare anche con la nostra visione del mondo e che possa condizionare le nostre azioni.
Facciamo un esempio.
Scelta giusta o sbagliata
Provate a pensare alle volte in cui siete stati indecisi su una scelta. Soprattutto quando i motivi razionali hanno più o meno egual peso, ci sarà solo un modo di decretare la scelta giusta: se abbiamo scelto rispettando ciò che sentivamo oppure no.
Ma perché la percezione è così importante?
Il peso del giudizio
Fin da bambini, siamo stati educati con divieti e permessi: se fai il bravo avrai un premio, se fai il cattivo invece arriva l’uomo nero (o andrai all’inferno). Quindi la nostra prima impronta è quella di categorizzare cosa si può o cosa non si può fare, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Il giudizio di valore sulle nostre azioni assume un peso così grande che potrebbe arrivare a schiacciarci e a non lasciarci più la possibilità di compiere una scelta con “il cuore”, provocando uno scollamento profondo tra ciò che pensiamo sia giusto fare e ciò che sentiamo essere giusto per noi.
L’accordo con se stessi
Un’obiezione che sento già riecheggiare da lontano è: “ma non possiamo fare quello che ci pare, abbiamo dei doveri da compiere”.
Vero, ma questa obiezione nasce da un fraintendimento. Quand’è che compiamo una scelta? Generalmente, siamo convinti che la nostra scelta risieda nel prendere una strada oppure un’altra, nella classica immagine del bivio, ma questa non è che la formalizzazione della decisione compiuta. La vera scelta, quella che ha davvero un peso per la nostra vita, è quella che noi facciamo seguendo le nostre percezioni, o meglio, il nostro volere.

Il desiderio come motore
Il desiderio è il motore senza il quale non saremmo in grado di progredire o di creare alcunché, nonostante il termine sia stato demonizzato spesso nel corso della storia.
E proprio perché è il motore di ogni uomo che non può non avere un ruolo rilevante nella scelta.
Seguire il desiderio che si ha per se stessi non significa essere ciechi ai bisogni degli altri o darsi al libertinismo sfrenato. Significa piuttosto prendere delle decisioni in accordo con se stessi, con il proprio sentire che un percorso è quello giusto oppure no ed essere consapevoli che anche quando si fa una scelta fuori dai canoni, la si fa perché si ha rispetto di sé. Questo accordo con se stessi è il vero libero arbitrio.
La bellezza nell’etica
Dunque, in questo modo un giudizio estetico (mi piace/non mi piace, mi fa stare bene/male) entra nel giudizio morale (devo fare ciò che è giusto) e si fonde con esso, ne cambia la veste, ne ammorbidisce i contorni del dovere e soprattutto fa del rispetto la sua unità di misura.
Il rispetto più grande che si possa mostrare a se stessi è proprio il scegliere in accordo con il proprio sentire. Non importa il cosa si sceglie, ma il come e il perché.
La consapevolezza è insieme al rispetto un fondamento di questa unione tra giudizio estetico e giudizio morale.
La realtà relativa
Questo ragionamento ci porta a un’altra conclusione collaterale: la nostra realtà non è assoluta. Se anche esiste al di fuori della nostra percezione, noi non la conosciamo. Possiamo conoscere solo ciò che sta entro i limiti della nostra percezione.
Questo significa che il dovere sociale (conformista o anticonformista, o anche dettato da altri condizionamenti esterni) è un assolutismo introiettato che blocca troppo spesso il sentire personale, rendendoci inabili nella nostra intuitiva capacità di vedere il mondo a colori e incasellandoci nella polarità di ciò che è male e ciò che è bene.
Questo non significa che l’etica sia un disvalore. Ma la bellezza ammorbidisce i diktat che ci imponiamo, lasciando l’ultima parola a un rispettoso (di sé) e consapevole accordo del dovere con il proprio desiderio.
Φ Sophia