Se la realtà non esiste, non possiamo non intendere l’arte come illusione.

Vincent van Gogh (1853 – 1890), Arles, January 1889
olio su tela, 95 cm x 73 cm
Crediti: Van Gogh Museum, Amsterdam (Vincent van Gogh Foundation)
Intendo l’arte come illusione perché siamo troppo impegnati ad attribuire a ciò che vediamo i nostri significati, senza preoccuparci di andare oltre.
Il mio intento non è quello di demonizzare ciò che tutti noi facciamo spontaneamente, ma di porre l’attenzione sul fatto che se cerchiamo la verità (nell’arte o nella nostra vita) dobbiamo “sporcarci le mani” e andare in profondità.
Di seguito vorrei condividere tre riflessioni su tre artisti a me molto cari.
Inganno dell’occhio
Giorgio Celiberti, allievo di Emilio Vedova, dipinge quadri che sembrano muri su cui sui vengono incise asticelle, nuvole, fiori e cuoricini.
La prima impressione è quella di star guardando un’opera quasi naif, come se fosse stata fatta da un bambino.
Ma l’arte di Celiberti nasconde una storia.
Nel 1965, il pittore friulano visita il campo di concentramento di Terezin, vicino a Praga. Questo luogo è famoso per essere stato prigione e tomba di migliaia di bambini ebrei.
Riproducendo i muri su cui i bambini incidevano i loro (di)segni, Celiberti ne decontestualizza la storia, lasciando visibile all’occhio solo una galleria di purezza infantile. Ma ricollocando le opere e conoscendo l’accaduto, l’effetto emotivo che produce è un orrore profondo.
La conoscenza dà un significato opposto a ciò che vediamo.
L’occhio e il senso che immediatamente attribuiamo all’opera possono essere ingannevoli, se non scaviamo per trovare la verità.
(Per vedere alcune delle sue opere vi consiglio di visitare il suo sito)
Il mito e il dubbio
L’artista dannato
Jackson Pollock è l’emblema dell’artista talentuoso e dannato: per quasi tutta la sua carriera non ha fatto altro che bere e per questo farà una brutta fine. Quando comincia a dipingere con la tecnica del dripping, è al culmine del suo estro creativo, ma inaspettatamente il suo genio non è ispirato dai fumi dell’alcol. Questi tre anni prolifici sono gli unici in cui Pollock sia mai stato davvero sobrio.
Il pittore scardina con il suo esempio il mito decadentista dell’artista che per produrre deve essere dipendente da qualche sostanza.
L’impostore
Questo è anche il periodo in cui è all’apice del suo successo, tanto che attira l’interesse dei media. Poco dopo, una troupe televisiva entra nel suo studio per filmarlo mentre dipinge. E in quel momento un dubbio si insinua nella sua mente. Pollock scappa dalla moglie e le chiede di mandare via tutti, confessandole di non sapere se quello che sta facendo sia veramente arte. “Forse sono un impostore!”.
Perché un impostore? Perché ha messo in dubbio che quello che stava facendo fosse arte.
È interessante che anche un artista affermato si fermi a riflettere su ciò che sta facendo, lo metta in dubbio e ne rimaneggi (o distrugga) il suo significato.
Sentirsi un impostore è una sensazione che conosco. Soprattutto all’inizio del mio lavoro mi stupivo che il mio contributo di idee fosse appezzato e per il quale venivo addirittura pagato. Mi veniva da pensare: “In fondo, non ho fatto nulla”.

Occhi nel caldo- dettaglio(Eyes in the Heat), 1946
Olio (e smalto?) su tela, 137,2 x 109,2 cm
Collezione Peggy Guggenheim, Venezia 76.2553 PG 149
© Jackson Pollock
La luce e l’ombra
Van Gogh è nato lo stesso giorno (ma un anno dopo) del fratellino morto e viene chiamato nel medesimo modo. Ogni anno, quando visita il cimitero con la famiglia, vede il suo nome con la sua data di nascita incisi sulla lapide. Più avanti Vincent scriverà a suo fratello Theo di sentirsi un cane randagio, venuto al mondo come sostituto.
Questa è solo una delle ombre della tristemente famosa vita di Van Gogh.
Poi c’è il quadro “I girasoli”. Un quadro caldo e chiaro, tanto che viene da chiedersi come abbia fatto un uomo così tormentato a dipingere un soggetto così solare.
Ciò che mi affascina del dipinto è la maniera in cui il pittore esprime la sua ricerca della luce, come se attraverso la brillantezza dei colori, potesse finalmente trovare il suo posto al sole. Come se quella luce potesse rischiarare la sua intera vita, strappandolo dal buio di un’esistenza travagliata.
La verità, la bellezza e il dubbio
La verità si nasconde dietro all’apparenza e se vogliamo trovare un bel paragone per comprendere quest’opera, mi viene in mente la perla nella conchiglia: bellissima da vedere, ma per il suo ospite si tratta di una malattia.
La bellezza è dunque frutto del dolore.
Come abbiamo visto in questi esempi, la costruzione di significato permea ogni parte della nostra vita. Se ci fidiamo troppo delle nostre percezioni, diamo un senso alla realtà che potrebbe essere illusorio.
Questo pensiero mi scuote, perché ognuno di noi pone delle certezze alla base della propria vita e delle proprie scelte.
Quindi, il mio dubbio non si può risolvere in un consolatorio “dubito, quindi sono”, ma piuttosto nello spinoso inizio che mi apre alla certezza di “sapere di non sapere”.